
Calcio
Amarcord / Quando in un piccolo stadio di provincia, a Senigallia, arrivò il mito di Mexico 1970
Fu il Mondiale del Brasile più forte di sempre e del clamoroso stacco di testa di Pelè, ma pure dell’Italia-Germania 4-3 dell’Azteca, l’epica applicata al calcio: un match rigiocato nel 1982 dagli stessi protagonisti, grazie a una intuizione geniale che fece epoca
SENIGALLIA, 3 Gennaio 2023 – Si può discutere se il più grande di tutti nel calcio sia stato Pelè o Maradona, ed anzi c’è chi nella ristretta lista del calciatore numero 1 di tutti i tempi trova posto pure per Cruyff, Di Stefano, “Pepe” Schiaffino e da ultimo anche Messi.
Su una cosa però un po’ tutti sono d’accordo: c’è un prima e un dopo Pelè perché il passo in avanti che il numero 10 brasiliano appena scomparso ha fatto compiere al calcio coi tre successi ai Mondiali – unico a riuscirci – tra il 1958 e il 1970, non ha eguali.
La tecnica, la velocità, la fantasia e il carisma per la prima volta si associavano anche alla potenza, perché Pelè fu anche un grande campione d’atletismo, come ben sa l’Italia, trafitta da quell’imperioso stacco di testa nella finale di Mexico 1970 contro il Brasile, col povero Burgnich – non certo il più tenero dei marcatori – che una volta ridisceso a terra non potè far altro che ammirare il numero 10 verde-oro, lassù, ancora in cielo, a sfidare la forza di gravità per bucare per la prima volta Albertosi nella finale del Mondiale.
Quel Brasile campione del 1970 è a detta di molti la miglior Nazionale della storia del calcio e indubbiamente segnò una cesura tra il calcio di prima e quello che si sarebbe visto dopo.
Ma se niente fu più lo stesso dopo Mexico 1970 lo si deve anche a ciò che era accaduto alcune ore prima nella semifinale dell’Azteca tra Italia e Germania Ovest, la partita più celebre della storia del calcio, ci perdonino i fans del recente Argentina-Francia.
Quel 4-3 fu l’epica applicata allo sport e al calcio, fu illusione, delusione, paura, speranza, rinascita e trionfo, non necessariamente nell’ordine.
Fu imprevisto, perché Schnellinger, che nel Milan era bravo a non far prendere gol, ma non certo a farne, pareggiò proprio a un passo dal triplice fischio, al termine di “un recupero incredibile” come sospirò in telecronaca Nando Martellini: in realtà il messicano Yamasaki aveva concesso appena 2 minuti, chissà come avrebbe definito il celebre telecronista Rai gli interminabili recuperi di Qatar 2022.
Fu redenzione, perché Rivera, “Il Golden Boy” del calcio tricolore, Pallone d’Oro l’anno prima ma colpevole sul 3-3 e per questo “maledetto” dal suo portiere Albertosi, andò a segnare il 4-3 decisivo.
“L’eco dell’avvenimento fu enorme. I tifosi messicani decisero su due piedi di murare una lapide all’esterno dello Stadio Azteca per eternare una partita che aveva esaltato il gusto latino-americano per lo spettacolo e la battaglia. Un banchiere italiano, che seguiva la partita per televisione a Montevideo, cadde fulminato da un infarto. In Italia oltre trenta milioni di appassionati […] rimasero incollati davanti al video, sebbene fosse mezzanotte passata. Molti andarono a coricarsi, sconsolati, quando Schnellinger aprì il fuoco, ma alla rete di Burgnich un urlo lanciato in centinaia di case […] e l’esito finale della pugna spinsero migliaia di appassionati nelle strade e nelle piazze”, scrisse subito Antonio Ghirelli, ma a distanza di oltre 50 anni al mitico 4-3 dell’Azteca sono stati dedicati libri, film, omaggi in canzoni.
E pazienza se per gli azzurri di Valcareggi – mister triestino come “il Paròn” Nereo Rocco – contro Pelè, ma pure Tostao, Gerson, Carlos Alberto, Jairzinho e tutti gli altri fenomeni sudamericani in finale non ci fu nulla da fare con un 4-1 per il Brasile che non ammette repliche: il Mondiale del 1970 sarà per sempre ricordato per il 4-3 della semifinale tra Italia e Germania.
Una partita che l’Italia vinse due volte, perché qualche anno dopo, nel 1982, curiosamente a poche settimane di distanza dalla finale, sempre tra Italia e Germania Ovest, dei Mondiali spagnoli, vinta ancora dagli azzurri (3-1 per l’undici condotto da un altro hombre vertical come Enzo Bearzot, contro tutto e tutti nel credere alla rinascita di Pablito Rossi), l’Italia-Germania del 1970 fu ripetuto.
Accadde a Senigallia, allo stadio Comunale allora ancora non intitolato a Goffredo Bianchelli, che fu però proprio l‘artefice di una iniziativa geniale e che sarebbe stata ripetuta altrove.
La riedizione della “Partita del secolo” si svolse il 21 settembre 1982 davanti a 10.000 spettatori per 100 milioni di lire di incasso (in beneficenza all’Istituto italiano per la ricerca sul cancro e all’Associazione per la cura della fibrosi cistica infantile), record insuperabili per lo stadio senigalliese, con in campo praticamente tutti i protagonisti di 12 anni prima, nella gran parte dei casi ancora in forma.
A commentare per la Rai, naturalmente, Nando Martellini.
Ci furono meno gol che all’Azteca, ma fu partita vera in una cornice indimenticabile con l’intera città coinvolta in un evento senza precedenti non solo a livello locale, e a cui pure la stampa straniera diede ampio risalto.
Vinse ancora l’Italia, grazie a un gol di De Sisti al 24′ del secondo tempo, come ricorda una lapide ancora oggi ben conservata vicino alla scalinata di accesso alla tribuna, mentre sempre all’interno dello stadio è appeso il grande manifesto che annunciava l’evento.
Sarebbe stata necessaria una certa dose di ottimismo per riuscire a portare in una piccola città di provincia delle Marche, lontana dal grande calcio di Nazionali e serie A, campioni provenienti da Italia e Germania, per rigiocare una partita che in entrambi i Paesi era già mito, ma aveva suscitato ovviamente sentimenti decisamente contrastanti tra vincitori e vinti.
E invece, Martellini e i 10.000 presenti in un Comunale che sembrava davvero uno stadio di massima serie con tutta quella gente assiepata ovunque, si poterono gustare una Italia davvero simile a quella di 12 anni prima con Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, De Sisti, Prati (al posto di Riva, unico assente), Mazzola, Rivera, Boninsegna, ma pure la Germania, con lo spietato bomber Gerd Muller, il mancino temibile del talentuoso Overath e le intuizioni geniali di Haller, schierava molti dei suoi big.
“Picchio” De Sisti segnò a metà della ripresa e spinse Haller a confidare ai giornali, “abbiamo perso ancora una volta…” ma in realtà quel giorno fu festa per tutti: per l’Italia, che potè godersi un successo sugli acerrimi rivali tedeschi senza dover già il giorno dopo pensare, come 12 anni prima, alla finale col Brasile dello spauracchio Pelè; per la Germania, che contribuì a un evento di grande rilevanza benefica ma ancor più per Senigallia, che grazie alla visione di Bianchelli per un giorno aveva potuto assaporare da vicino il mito di Mexico 1970.
Il Mondiale del Brasile più forte di tutti i tempi, dei 6 minuti di Rivera, del colpo di testa stellare di Pelè, ma anche di Italia-Germania 4-3: la partita del secolo, nel 1970 come oggi nella memoria di chi era davanti alla tv 53 anni fa ma anche dei 10.000 che affollarono come mai prima e mai più dopo, il piccolo stadio di Senigallia.
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